Sì, ha ancora senso purché non si resti solo nella teoria ma lo si cali nella realtà, che come abbiamo visto può riservare delle grandi sorprese.
Settimana scorsa in un incontro su Zoom di Rete al Femminile Torino, abbiamo parlato di nuovo di business plan per cercare di capire se ha ancora senso farlo e se è utile per un’attività già avviata.
La risposta continua a essere affermativa, per diverse ragioni.
Il business plan si basa di fatto su ipotesi, verificate e limate al millimetro, ma pur sempre ipotesi. Oggi non solo a causa dell’emergenza sanitaria ma anche per la nuova natura e velocità dei mercati è necessario ricalcolare la rotta e inserire nel business plan un approccio empirico.
Assaggiare la realtà
Ripeto con convinzione e costanza che è necessario avere obiettivi chiari e un piano di azione, ossatura portante per la costruzione di un business.
Ora è necessario inserire una verifica pratica, realistica e aderente allo scenario in cui si vuole operare.
Ovvero, prima di partire con una nuova impresa o prima del lancio di un nuovo ramo di attività per un business già avviato, è necessario testare sul mercato l’idea per capire come viene accolta, quanto realmente può costare svilupparla (altro punto che spesso si discosta dalla previsione su carta), come si comportano i buyer personas (pubblico e possibili clienti).
Nel suo post di settimana scorsa Marta Giavarini, che si occupa da più di vent’anni di strategie di business, ha sintetizzato molto bene questo nuovo approccio: “oggi ciò che sappiamo è ciò che viviamo” e precisa:
“In un project management di tipo tradizionale si partiva dal problema e si arrivava alla soluzione: nei processi agili, cerchiamo di capire cosa vogliamo realizzare e, a ritroso, costruiamo delle azioni che devono essere realizzate per giungere al risultato finale”.
Strumenti integrati
Questo significa che gli strumenti usati finora come la mappa dell’empatia per inquadrare e conoscere il proprio target, il business model canvas che raccoglie e visualizza tutte le informazioni necessarie a sviluppare un business plan, vanno integrati con una prova sul campo.
Se prima della crisi si ripeteva sempre di non partire dalla (propria) idea ma dai bisogni (del cliente) ora questi strumenti devono essere completati con un test sul mercato perché i bisogni potrebbero essere velocemente alterati da nuove situazioni. Un caso per tutti: il settore food e ristorazione che hanno introdotto in modo rapido, a volte imperfetto sfruttando dei semplici WhatsApp con i clienti, le consegne a domicilio durante il lockdown.
Da questa micro esperienza bisogna trarre il maggior numero di dati possibili per poterli inserire in un piano di ampliamento o conversioni delle attività.
Imparare, sperimentare, fare errori
Altro aspetto che deve accompagnare la costruzione del business plan è un piano di comunicazione e marketing che apra la strada e sostenga il lancio dell’attività, servizio, prodotto. A freddo nulla può passare da zero a cento, neanche per i brand più conosciuti.
È tutto frutto di un lavoro di preparazione, posizionamento, creazione di community pronte a accogliere la novità e prima di tutto a testarla.
Questa faccenda di valorizzare la parte sperimentarle l’ho evidenziata anche in un altro post parlando di formazione, assolutamente necessaria e sulla quale io investo una bella cifra dei miei ricavi. Non bisogna però limitarsi a imparare, è fondamentale mettere in pratica, rischiare di fare degli errori e imparare da questi.
Un circolo virtuoso fra apprendimento, pratica, feedback e di nuovo apprendimento.
Nel concreto
Cosa cambia allora nella stesura di un business plan?
Per dare una tridimensione al progetto, sarà necessario descrivere molto bene:
- l’idea
- il bisogno che risolve
- lo staff che porterà avanti il progetto e i partner che lo potranno sostenere nello sviluppo
- a chi si rivolge il business, analizzando i buyer personas con la mappa dell’empatia
- lo scenario in cui il business si inserisce con un’analisi approfondita sia dei competitor che delle logiche del mercato che interessa. Qui sarà necessario descrivere la parte di progetto pilota con il quale si testa l’attività e riportare potenzialità e criticità reali
A questa parte di costruzione e descrizione del business seguirà tutta la parte economica, che terrà conto di investimenti, ammortamenti, flusso di cassa, conto economico, stato patrimoniale, ROI (ritorno dell’investimento), ovvero la quadratura dei conti.
Testare non vuol dire “cominciare e vedere come va” ma presuppone aver già chiaro sia il modello di business che la sua sostenibilità. Il test costituisce “la messa su strada” dell’idea per verificarne la validità, non è un mossa alla cieca, al contrario deve essere ben preparata e costituisce un passaggio in più, non una scorciatoia.
Tutto questo può spaventare, ma iniziare bene aiuta a avere fondamenta ben ancorate al terreno e permette di correggere i segmenti che risultano problematici. Tutto ciò che comporta un maggior sforzo iniziale darà un miglior risultato sul lungo periodo.
Se si vuol passare una domenica a camminare a piedi nudi sull’erba croccante, bisogna aver pianificato cosa succede il giorno dopo, solo così la serenità sarà tangibile.
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